Muoversi meglio

In questo momento mi trovo a Bali, Indonesia. È la seconda volta che ci vengo, ed è la seconda volta che quando sono qui entro in crisi. Troppe contraddizioni: natura pazzesca e traffico delirante, povertà dei nativi e strapotere economico di turisti e immigrati, donne per strada con bambini moribondi in braccio, doni agli dei di fiori e sigarette e aquiloni nel cielo per sussurrare preghiere alle loro orecchie. Chissà se servono. Non entro in questo discorso perché potrei non uscirne. Se stai pensando di andare a Bali e vuoi un mio spassionato consiglio: evita.

Perché io sono qui allora? Perché il cuore culturale di Bali, Ubud, già famosa come patria della danza e della tradizione teatrale balinese, è diventata una delle capitali mondiale dello yoga - sicuramente dello yoga occidentale. Già. 

Nonostante l'Indonesia sia il paese con la più grande popolazione musulmana del mondo, a Bali l'80% degli abitanti pratica l'induismo balinese, una forma unica di induismo che incorpora elementi di animismo, culto degli antenati e buddismo. Per questo motivo, oltre probabilmente ad altre ragioni climatiche e topografiche, a partire dagli anni ‘60 e ‘70 l’isola ha iniziato ad attrarre occidentali in cerca di una dimensione spirituale che poi non se ne sono più andati.

Meghan Pappenheim, newyorkese di nascita, era una studentessa universitaria di Storia dell'Arte, Etnomusicologia e Antropologia quando, negli anni '90, ha partecipato a un programma di scambio culturale in Sud-Est Asiatico e ha visitato Bali per la prima volta. Anche lei non se n'è più andata: oltre a sposarsi con un uomo balinese da cui ha avuto due figli, ha intuito l’enorme potenziale dell’isola come luogo di ritiro, ricerca e innovazione per il mondo dello yoga. Così, ha fondato lo Yoga Barn insieme al marito I Made Gunarta, anche conosciuto come Pak Dek, e al californiano Charley Patton. Pak Dek è anche il visionario architetto che si cela dietro l'estetica di questa struttura abbastanza incredibile: tutta costruita artigianalmente con materiali riciclati, con sale circondate dalla giungla tropicale che spesso integrano al loro interno elementi naturali come alberi e corsi d'acqua. Ricettacolo e cassa di risonanza di tutte le tendenze del mondo dello yoga, con un’offerta formativa di oltre 160 lezioni a settimana tenute da importanti insegnanti con riconoscimenti internazionali (o qualcosa del genere), lo Yoga Barn è il Disneyland dello yoga. Letteralmente. Vai, paghi il biglietto, ti metti in fila alle giostre e fai un giro nel tuo cartone animato preferito. Il che ovviamente può suscitare sentimenti molto contrastanti. 

Mappa dello Yoga Barn

Grazie allo Yoga Barn e al BaliSpirit Festival, evento multiculturale di yoga, danza, musica e filosofie olistiche, Meghan attira a Ubud migliaia di persone da oltre 60 paesi che ogni anno si radunano per fare esperienze difficili da trovare con questa intensità da altre parti.

Nella visione imprenditoriale di Meghan, lo sviluppo delle comunità locali deve essere parte integrante di qualsiasi business interculturale, e il BaliSpirit Group, che include la società che gestisce lo Yoga Barn e il BaliSpirit Festival, finanzia diversi progetti a impatto sociale sulla vita dei balinesi.

Il “Bali ReGreen” è un programma di riforestazione del bambù che mira a riqualificare le aree degradate di Bali e ha come obiettivi ripristinare la vegetazione danneggiata, prevenire l'erosione del suolo e fornire risorse sostenibili per l'economia locale​.

Il progetto “Ayo! Kita Bicara HIV/AIDS” è un’iniziativa di sensibilizzazione e educazione sull'HIV/AIDS rivolto ai giovani indonesiani, mira a ridurre lo stigma associato alla malattia, a ridurre la trasmissione del virus tramite l'educazione sessuale nelle scuole e a fornire supporto a chi ne è affetto. Durante il BaliSpirit Festival, vengono sempre raccolti fondi per vari progetti di beneficenza e organizzazioni non profit.

Insomma, non c’è dubbio che il contributo di Meghan sia stato determinante nel rendere Ubud quello che è oggi, nel bene e nel male - sulla scia dello Yoga Barn, sono nati miriadi di centri yoga e benessere, oltre a negozi e locali a tema di ogni tipo. D’altronde, questo incontro-scontro di civiltà è solo uno di centinaia di esempi di contraddizioni polarizzanti che ci pone la globalizzazione. 

Quale sia davvero l’impatto di questo tipo di iniziative sulle comunità locali non è facile da misurare, e chi giudica rischia sempre di mettersi in posizioni orientaliste o paternaliste.

Non sono mancate neanche controversie legate alla gestione di Meghan di casi problematici come quello di Uma Inde. Insegnante di yoga e “guaritrice” molto carismatica che ha lavorato presso The Yoga Barn dal 2008, Uma Inde è stata accusata di aver utilizzato i suoi corsi per creare un culto abusivo. Le accuse includono manipolazione psicologica, abusi fisici e sessuali. Meghan è stata criticata per aver minimizzato gli episodi, parlando di una "caccia alle streghe" e non offrendo supporto adeguato alle vittime. Non ho trovato evidenze di un processo legale concluso con una sentenza formale contro Uma Inder​, quindi non mi pronuncio, anche se è evidente che certe declinazioni dello yoga possono favorire approcci settari che a loro volta possono degenerare in situazioni abusive - la storia contemporanea dello yoga è purtroppo piena di casi del genere e bisogna sempre tenere alta l’attenzione.

Perché sono qui, dunque? Non di certo per idealizzare Bali o lo Yoga Barn, ma perché qui imparo tantissimo. Per chi insegna yoga non è solo un luogo di ritiro e pratica, ma è anche un laboratorio di aggiornamento professionale dove si scoprono e si sperimentano cose nuove che poi ognuno può integrare a suo modo nel proprio approccio didattico, per offrire ai propri studenti sempre nuovi strumenti di esplorazione della mente, del corpo e della loro relazione. 

Personalmente, dopo aver studiato per mesi i testi classici dello yoga e diverse tecniche di meditazione e respirazione - lungi da me ridurre lo yoga ad attività fisica - sto spostando di nuovo il mio focus sullo studio del corpo e sul movimento, sul movimento delle articolazioni in particolare. 

Quanti modi abbiamo di alzarci da terra? E se possiamo usare una mano sola? E se non ne possiamo usare neanche una? 

La gamma di movimenti che il corpo umano ha a disposizione è estremamente vasta, ma ne usiamo solo una minima parte. Sono tutti movimenti “naturali”, non sto parlando di acrobazie o contorsionismi, eppure capita che il nostro stile di vita ci porti a dimenticarli. Questo comporta un adattamento del corpo a un range di movimento inferiore, e quindi una maggiore probabilità di restare bloccati qualora dovesse servirci, per evitare infortuni, proprio quel movimento che abbiamo dimenticato. 

Quei movimenti perduti si possono imparare di nuovo, a patto di dimenticare per un attimo quelli che conosciamo meglio. Lavorare sulla mobilità non è quindi solo un noioso esercizio posturale o un bisogno legato alla riabilitazione: è un gioco. (Ri)scoprire in quanti modi il nostro corpo può muoversi ci fa tornare un po’ bambini.

Hai mai sentito parlare di Functional Range Conditioning (FRC)? È un sistema di allenamento, sviluppato dal chiropratico americano Andreo Spina, che pone particolare enfasi sulla mobilità articolare. Include diverse tecniche, raggruppabili in tre aree.

“CARs” (Controlled Articular Rotations): movimenti articolari controllati che aiutano a mantenere la salute delle articolazioni e a identificare eventuali limitazioni nel movimento.

“Pails & Rails” (Progressive and Regressive Angular Isometric Loading): sono esercizi isometrici che aiutano a migliorare la flessibilità e la forza nelle posizioni di fine gamma di movimento.

“Kinetic Stretching”: particolari tecniche di stretching attivo che mirano a migliorare la mobilità attraverso l'attivazione muscolare.

Quando si tratta di nuovi modi di insegnare al nostro corpo a muoversi di più, sinceramente mi importa il giusto se si tratta di approcci che sconfinano rispetto al perimetro tradizionale dello yoga classico. 

L'FRC è utilizzato sia da atleti che da persone comuni per migliorare la funzionalità del corpo, prevenire lesioni e favorire il recupero dopo infortuni. Se può essere integrato in tantissimi programmi, dallo sport alla danza alla riabilitazione, perché non applicarlo allo yoga? 

In questi giorni in cui sto lavorando al programma Hips Harmony, l’FRC mi sta aiutando tantissimo a esplorare nuovi modi di muovere le anche. E ogni volta che scopro un modo di muovere il mio corpo che non conoscevo, mi emoziono come quando ascolto per la prima volta una nuova canzone che mi piace. 

Ho scoperto l’FRC grazie a Chris Fox, un’insegnante di Yoga Barn che ha sviluppato una serie di corsi sull'idea di rendere il corpo "più intelligente" attraverso il movimento consapevole: insegnano a muoversi meglio per sentirti meglio. Li sto facendo tutti

Ciao da Ubud 👋 

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